Libri, film, serie tv e anche arte, ovunque in questi media si parla d’intelligenza artificiale. Alcuni in modo molto fantasioso, come l’intrattenimento, altri in modo più tecnico e realistico. Nella realtà, però, quello che sappiamo sull’intelligenza artificiale è molto poco. Ciò che seguirà è la piccola esplorazione che ho fatto in questo ambito, nonostante non sia molto approfondita. A fine articolo lascierò delle risorse da consultare se vorrai approfondire. Detto questo, cominciamo.
Innanzittutto, va compreso che l’intelligenza artificiale ha come base concettuale un cambio di paradigma: le macchine che siamo abituate a vedere, come i pc o le auto, rispondono a degli ordini impartiti dall’utente, mentre l’intelligenza artificiale è autonoma. In verità, come vedremo tra poco, non è autonoma al 100% ma tale concetto serve per capire il passaggio a un nuovo tipo di macchine: dalle macchine “che fanno” alle macchine “che imparano a fare”. La differenza è sostanziale e sposta l’attenzione sul punto fondamentale, ovvero il metodo di apprendimento di questi sistemi.
Tutto parte dalla secondo metà del Ventesimo secolo, quando due matematici, Allen Newell e Herbert Simon, iniziarono a sviluppare un programma per dimostrare in modo più agevole delle leggi matematiche complesse. Stiamo parlando di un software che doveva essere in grado di capire i ragionamenti umani dietro a delle formule matematiche per individuare dei punti deboli nei ragionamenti ed effettuare dei test su di essi: un lavoro che i matematici fanno in anni di studi, mentre la macchina impiegava qualche minuto in alcuni casi. Data la novità di questa tecnologia e i discreti risultati ottenuti, ci fu grande entusiasmo e nacquero diversi progetti simili che aggiungevano gradi di complessità sempre maggiori.
Un punto d’arrivo importante furono gli anni ’80 in cui venne creata l’intelligenza artificiale Deep Blue, il calcolatore che sconfisse il campione di scacchi in carica Garry Kasparov, segnando un risultato davvero epocale. Proprio analizzando il modello di Deep Blue, possiamo intuire come funzionano questi tipi di software: il programma aveva un algoritmo che, date una serie di posizioni e partite schacchistiche, le indicizzava e le collegava tra loro in base a punteggi e probabilità di vittoria. Questo modello è chiamato rete neurale ed è il meccanismo ora più usato per programmare questi algoritmi. Per far vincere alla macchina una partita di scacchi così difficile, però, va addestrata e questo lo fanno gli umani: alla macchina non solo veninavo dati in pasto i dati ma anche delle etichette ,attribuite dagli scenziati, a quei dati che dovevano essere utili alla macchina per capire come giocare a scacchi. Inoltre, doveva giocare delle vere partite per comprendere sempre di più come giocare contro avversari reali.
Tutte queste operazioni erano gestite da noi umani, anche se con una certa difficoltà: le macchine non parlano la nostra stessa lingua e per modificare qualcosa che non funzionava nel programma era impossibile parlare la lingua binaria del computer, bisognava far comunicare la macchina con il mondo esterno in modo comprensibile. Con questo non ci si rifà solo ai linguaggi di programmazione ma, visto che l’IA modifica i parametri che gli vengono dati e ne crea di nuovi, proprio capire un determinato dato a cosa corrisponde nella realtà e come viene usato nel ragionamento. Da qui partono le nuove sfide che gli scenziati si sono posti per sviluppare i successivi sistemi.
Tra il 2015 e il 2016 a Vienna nasce e viene sperimentato MELVIN, un’intelligenza artificiale che si propone come il primo fisico digitale della storia. Il suo compito era quello di trovare nuove combinazioni di teoremi già esistenti per formularne di nuovi, per poi testarli e restituire i risultati più promettenti. MELVIN si rivela da subito potentissimo e arriva a risolvere problemi assai complessi della meccanica quantistica. Purtroppo, però, questo software ha un grave difetto: gli output che produce non sono subito comprensibili ai fisici in carne ed ossa e richiedono alcuni giorni per essere decifrati. Da qui, all’Università di Toronto, il suo creatore, Mario Krenn, partorisce una nuova macchina: THESEUS, un algoritmo capace di superare MELVIN per diversi ordini di grandezza e, soprattutto, restuisce dei dati comprensibili da subito agli esseri umani.
Una delle ultime svolte, poi, sono quelle degli algoritmi generativi: mentre i primi programmi avevano lo scopo iniziale di prendere un’immagine e indicizzarla per riconoscerne il soggetto, con gli algoritmi generativi si “percorre all’incontrario” la rete neurale generando dati di vario tipo, come immagini o testi. La cosa interessante è che i risultati prodotti dall’algortimo vengono inseriti a loro volta nella rete neurale, facendola diventare sempre più precisa ed efficiente. Il progetto più famoso al momento è DALL-E 2 che crea da delle frasi impartite dall’utente delle immagini del tutto nuove proprio come un piccolo artista.
Sicuramente, nel momento in cui scrivo questo post, le intelligenze artificiali sanno fare davvero moltissime cose: dal cercare qualcosa in Rete a creare immagini da zero, dal riconoscimento facciale ad alcuni esperimenti con la guida autonoma, fino alle cose più “semplici” come imparare a camminare.
Ci sono molte cose che questi programmi ancora non sanno fare ma la cosa più importante è che non sanno fare più di una cosa insieme e questo è quello che li differenzia dai loro creatori.
Pertanto, l’IA risponde ancora a degli “ordini” impartiti dagli uomini e, quindi, è importante capire come e perchè sono usate in un determinato modo.
Inutile dire che mezzi così potenti non sempre sono usati in modi molto costruttivi e leciti: può essere utile un computer che sa rilevare un tumore non sviluppato in anticipo rispetto al medico umano ma forse non è il massimo avere un essere fatto di bit che, conoscendo le tue espressioni del volto, ti fa cercare solo cose che ti faranno perdere tempo sul tuo telefono solo per avere qualche pubblicità in più da vendere. Inoltre, non sempre il confine tra buono e cattivo è così netto: il riconoscimento facciale può essere utile quando dobbiamo tenere al sicuro i dati sui nostri dispositivi ma lo è molto di meno quando viene usato per controllarci ogni giorno in ogni nostro movimento.
Va, allora, pensato a come rendere queste tecnologie disponibili per la comunità in modo che se ne faccia un uso costruttivo e consapevole e senza discriminazioni di sorta ( anche questo tassello di discussione importante ma derivante principalmente dagli umani più che dai computer ). Sarà, quindi, doveroso mantenere tali strumenti in condizione di fare solo il bene della comunità e senza essere mezzi di manipolazione di persone volte al mero interesse economico.
Non dobbiamo pensare solo a che cosa possiamo fare con l’IA, dobbiamo riflettere soprattutto su che cosa vogliamo fare con l’intelligenza artificiale.
∼Francesca Rossi
Ecco alcune risorse in merito:
- Sito italiano sull’intelligenza artificiale ( Link )
- Pubblicazione della collana “I Quaderni” de Le Scienze ( Acquisto )
- Deep Thinking – Garry Kasparov ( Articolo ufficiale in inglese – Articolo sul libro con link all’acquisto )
- La dittatura degli algoritmi – Antonio Murzio, Chiara Spallino ( Acquisto )